Nella prima metà del XVI secolo il termine bullismo, la cui etimologia può essere ricondotta alla parola medioevale olandese boel cioè “fratello”, aveva un’accezione positiva e veniva usato per riferirsi ad una persona amata. Più tardi, in area anglosassone, il termine si trasformò in bully cioè “tesoro”, e il suo utilizzo indicava i bravi ragazzi e le persone piacevoli.
Col tempo acquista una connotazione negativa diventando sinonimo di “sbruffone”, per poi arrivare al significato di oggi ovvero una persona arrogante e prepotente che agisce violenza fisica e psicologica nei confronti di chi considera “debole”.
Quando si inizia a parlare di bullismo?
I primi studi sul fenomeno del bullismo iniziano nella prima metà del XX secolo nei paesi scandinavi e poi in quelli anglosassoni, in particolare in Gran Bretagna e in Australia.
Il primo ad utilizzare il termine bullying è lo psicologo svedese Dan Olweus. Negli anni ’70, dopo varie ricerche, afferma che «uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni».
Da tale definizione emergono delle caratteristiche importanti del fenomeno:
- l’intenzionalità, le azioni fisiche e verbali sono agite intenzionalmente con lo scopo di arrecare un danno alla vittima;
- la persistenza, ovvero la ripetitività dei comportamenti violenti;
- la relazione asimmetrica tra il bullo e la vittima, che denota una differenza sostanziale tra la forza del bullo e quella della vittima. Una forza che non le permette di potersi difendere.
Bullismo in Italia
Se in Europa le prime ricerche iniziano negli anni ’70 in Italia si è dovuto aspettare fino agli anni ’90. Fin da subito, però, hanno rilevato la gravità del fenomeno che caratterizza maggiormente le scuole ma anche i luoghi di aggregazione in cui i ragazzi trascorrono del tempo insieme.
Gli episodi di bullismo vengono consumati nei corridoi, nei bagni, nei luoghi poco sorvegliati o isolati. Lontano, dunque, dalla presenza degli adulti. È fondamentale sottolineare che, a causa della loro gravità, alcuni atti diventano dei crimini che necessitano l’intervento di diversi organi di competenza.
Svariati autori sottolineano che gli atti di bullismo sono presenti anche nei bambini ma la loro importanza è rilevata maggiormente quando sono i ragazzi ad agirli. Le prepotenze dei bambini possono essere spiegate dal fatto che a quell’età hanno minori competenze linguistiche, di conseguenza l’incapacità di tollerare la frustrazione li porta ad assumere comportamenti aggressivi.
Tipologie di bullismo
È possibile distinguere due tipologie di bullismo:
- diretto, comprende le prevaricazioni che possono essere fisiche, rivolte contro la persona (botte, calci, pugni, spintoni) ; contro i suoi oggetti (vestiti strappati, oggetti sottratti o distrutti) e verbali (denigrazioni, minacce, insulti);
- indiretto, racchiude comportamenti meno visibili e più sottili ma devastanti dal punto di vista psicologico. Esse tendono all’isolamento e all’esclusione della vittima dal gruppo classe o dal gruppo di amici con l’unico scopo di farla sentire invisibile, sola e indifesa.
Bullismo e genere
Ricerche al riguardo rilevano lo stesso coinvolgimento negli atti di bullismo sia nei maschi che nelle femmine anche se i comportamenti femminili sono di tipi indiretto. Le ragazze escludono ed isolano piuttosto che usare la violenza fisica. Questo non toglie però che, seppur con minore frequenza rispetto ai ragazzi, anche loro possano usarla.
Inoltre sono stati dedicati pochi studi sul bullismo al femminile, solitamente si confrontano i dati ottenuti relativi ai ragazzi e alle ragazze ma raramente si è svolto un lavoro dedicato solo alla violenza agita dalle ragazze.
Chi si nasconde dietro ai comportamenti di bullismo?
Molto spesso le condotte dei bulli sono considerate dalle loro famiglie e/o dall’opinione pubblica delle “ragazzate” agite dai cosiddetti “bravi ragazzi” sminuendo così la gravità delle azioni.
Gli atti di bullismo non hanno mai solo due protagonisti, cioè bullo e vittima, poiché esso è un fenomeno di gruppo.
Il bullo dominante ovvero colui che agisce la violenza, è caratterizzato da un’alta autostima, impulsività, incapacità di tollerare la frustrazione e scarsa empatia nei confronti degli altri. È sempre spalleggiato da altri componenti del gruppo ovvero dai bulli gregari e dagli spettatori.
I bulli gregari sono soggetti ansiosi, insicuri, con bassa autostima e con scarso rendimento scolastico. Acquistano identità e affermazione all’interno del gruppo sostenendo e appoggiando il bullo dominante durante le azioni aggressive. Sono definiti anche “bulli passivi” poiché non agiscono direttamente violenza ma incitano il bullo dominante a farlo, facendolo sentire forte e potente.
Gli spettatori invece sono coloro i quali assistono in silenzio allo scenario violento senza prendervi parte. Non hanno il coraggio e la capacità di sottrarsi e il loro atteggiamento li rende ugualmente complici dato che non difendendo la vittima contribuiscono ad isolarla.
Ciò che accomuna tutti è avere interiorizzato dei modelli disfunzionali di relazione. Negli ultimi anni, infatti, l’attenzione degli studiosi si è focalizzata sulla trasmissione intergenerazionale della violenza ovvero al trasferimento di modelli di relazioni aggressive da una generazione all’altra. Un apprendimento e un’incorporazione della violenza come modalità di vivere la relazione con gli altri, diventando dunque insensibili alle loro espressioni di tristezza, paura e dolore.
Che cos’è il Cyberbullismo
Il termine Cyberbullying, tradotto in italiano con bullismo online o cyberbullismo, è stato coniato dall’educatore canadese Belsey, creatore del sito “bullying.org”. Il fenomeno del cyberbullismo ha ricevuto attenzione dagli studiosi e dai media solo a partire dai primi anni del XXI secolo. Esso rappresenta una forma di bullismo la cui evoluzione si deve all’avanzamento delle nuove tecnologie.
Le azioni intimidatorie avvengono tramite telefonate, messaggi, email, chat, social network, giochi online e possono essere svariate. Ad esempio danneggiare la reputazione della vittima rubando la sua identità con lo scopo di pubblicare contenuti volgari a suo nome; intimorirla inviando messaggi o email con minacce e insulti o ancora conquistare la sua fiducia per poi diffondere le sue confidenze.
Il Cyberbullismo rispetto al Bullismo denota alcune differenze:
Se i bulli, in genere, sono compagni di classe i cyberbulli possono agire da ogni parte del mondo; i bulli agiscono durante le ore scolastiche mentre i cyberbulli in qualsiasi momento del giorno o della notte. Inoltre, il bullo è identificabile mentre il cyberbullo può anche essere uno sconosciuto. Infine, il bullo agisce in un ambiente circoscritto mentre il cyberbullo all’interno di una “rete” infinita.
Le conseguenze psicologiche del bullismo
Le conseguenze psicologiche sia a breve che a lungo termine possono essere diverse e gravi. Le vittime di bullismo molto spesso mettono in dubbio le proprie capacità, sviluppano scarsa autostima e vivono stati di ansia e frustrazione.
Col tempo tendono all’isolamento, evitano i luoghi di aggregazione, vogliono cambiare scuola o abbandonarla del tutto per sottrarsi alle prepotenze. Possono sviluppare inoltre disturbi dell’umore, disturbi alimentari, disturbi del sonno e diverse reazioni psicosomatiche.
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